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- Title
- Dal seme alla cipolla
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- Porporato, Davide, Ghiardo, Luca, Abisso Matinella, Lidia
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- La cipolla di Fontaneto e Cureggio. Intervista a Paola Platinetti. Paola Platinetti Mi chiamo Paola Platinetti, sono originaria qua della zona, sono sposata, ho due figli e ho iniziato cinque anni fa a coltivare frutti dell’orto, stando a casa dal lavoro per il bambino, con l’aiuto di mio marito Paola Platinetti Ho iniziato con prodotti normali ortaggi che si trovavano in commercio, Paola Platinetti poi ho sentito di questa particolarità che nella zona era coltivata e venduta in grandi quantità [la cipolla ndr] negli anni settanta Paola Platinetti il problema era riuscire a ritrovare la semente pura. Paola Platinetti Il primo anno abbiamo avuto qualche cipolla… la cipolla te la davano, non ti davano i semi e le piantine, ma la cipolla in se stessa, se ce l’avevano in più, te la davano. Paola Platinetti Abbiamo iniziato ad avere qualche cipolla e questa era molto preziosa per riuscire a fare poi la semente, però ci voleva due anni, perché con quella cipolla lì, comunque, se la conservo e poi in primavera la pianto lei fa il suo fiore e farà le sementi. Paola Platinetti Il primo anno, sono partita in ritardo, sono riuscita ad avere una cinquantina di semi da un mio vicino di casa che aveva semi addirittura di sua mamma , una persona fidata di ottant’anni, ero sicura che erano proprio quelle di Cureggio e che non erano mischiate. Paola Platinetti Prima di iniziare a recuperare io la semente erano rimaste un po’ di famiglie qua in zona… di preciso non so perché le hanno conservate nell’orto. Qua a Fontaneto non molte, la zona più coltivata è la baraggia, San Martino, scendendo più giù non veniva già più coltivata, invece su a Cureggio un po’ di famiglie c’erano anche se con un numero limitato di sementi. Paola Platinetti Piantavano una cipolla che faceva due fiori, duecento semi che tenevano per loro. Riuscire a recuperare i semi per me è stato bello, subito non mi sembrava vero che potessero arrivare così tanti produttori, se pur inizialmente abbiamo faticato un po’, sono contenta che questa cipolla venga reinserita in produzione o comunque in cucina. Paola Platinetti Per la produzione dei semi quest’anno sono stata solo io, l’anno prossimo vedrò che cosa la Pro potrà fare, penso che almeno un altro [produttore, ndr] ci sarà, adesso non so come organizzano perché hanno loro [la Pro Loco ndr] in mano la gestione Paola Platinetti Inizialmente ad avere le prime piantine eravamo in due, dei vivai grossi da 15,000-20,000 [acri/ettari? ndr], eravamo noi ed un altro mio vicino molto esperto. Paola Platinetti Tutto questo lavoro al momento è fatto da me e mio marito con un piccolo aiuto di mio cognato che ha un po’ di attrezzi e ci aiuta. Il lavoro più grosso è piantare, perché si ha di una piantina piccolissima a radici nude, bisogna piantarne una ad una avendo molta attenzione, quest’anno abbiamo preso la macchina e ci siamo un attimino velocizzati, altrimenti non saremo riusciti a venire in contro alla produzione, è un lavoro molto lungo se effettuato manualmente. Paola Platinetti Per riuscire a recuperare il seme, ho dovuto prendere delle cipolle più belle, più particolari, bisogna conservarle per tutto l’inverno al fresco e soprattutto, al buio, cosicché non inizino a germogliare; all’inizio del caldo, a febbraio, quando inizia il movimento della la primavera, loro lo sentono e iniziano a germogliare, allora si piantano subito in pieno campo, il posto migliore, non in serra, non al coperto, ma in pieno campo. Paola Platinetti Si piantano, si aspettano pochi giorni per farle abituare alla terra, loro rigermogliano e vanno “in canna” e iniziano a fare questa canna alta con il suo bocciolo, fanno il fiore, bisogna mettere un bastone a cui verrà legata con cura la pianta prima che vada giù che si rompa, perché è molto delicata. Paola Platinetti Il fiore verrà impollinato, poi secca e dentro ogni fiore ci sono due o tre semi neri. Nel momento in cui comincerà a girarsi, prima che cadano bisognerà avere cura, verso agosto quando c’è molto caldo, loro seccano; bisogna ritirarli per conservarli e sgranarli per poi avere il seme per la prossima produzione, l’anno dopo. Paola Platinetti Sentendo le persone anziane, loro seminano in luna calante di dicembre, la luna della Madonna, loro considerano l’otto dicembre come punto di riferimento, in quella settimana lì. Paola Platinetti Questo è il primo vivaio, che bisognerebbe fare in serra: Una volta venivano coperte solo con la “sporcizia” della meliga, le mettevano semplicemente in pieno campo e gli mettevano su un po’ di sporcizia, poi all’inizio della primavera le pulivano ed ottenevano le piantine. Paola Platinetti Io le metto in serra o se no in pieno campo per febbraio, il periodo di carnevale, con la luna di carnevale o di inizio marzo, dipende dal tempo, se fa molto freddo, anche i primi di marzo, non più tardi però, perché la piantina ha bisogno di essere spostata entro aprile-maggio altrimenti non riuscirà a “lavorare” nel modo giusto. Paola Platinetti Per la raccolta bisogna dare uno sguardo alla vegetazione verde, noi diciamo la bruija, che s’abbassa, deve stare abbassata per quindici giorni e quando questa inizia a seccare ed è abbassata le cipolle sono mature. Paola Platinetti Io ho sempre sentito così, bisogna toccare dove inizia la bruija e quando è giù e inizia a seccare, bisogna toglierle e farle asciugare un po’ in campo, con il sole, che almeno se ci dovesse essere qualche segno si cicatrizzano e la cipolla è sana e secca e allora si può ritirare. Paola Platinetti Ora che ho iniziato questa attività spero di portarla avanti al meglio. Sono piantine molto delicate, bisogna stare attenti anche all’erba, anche solo l’erba le rovina, devono essere più pulite possibile, perché anche solo le radici dell’erba le possono danneggiare, c’è parecchio lavoro da fare. Paola Platinetti Mi fa piacere e, sinceramente, non pensavo che i giovani si sarebbero interessati a questa avventura, quando ci è stato detto che c’era da cercare nuovi produttori sono rimasta un attimino (…) e invece sono proprio i giovani che sono interessati ad iniziare e ci credono più di tutti, sembra che ci credano molto a questa iniziativa. Paola Platinetti Personalmente all’inizio non mangiavo cipolle perché non le digerivo, non mi piacevano, ma adesso se nell’insalata non c’è la cipolla non la mangio, ho iniziato solo da qualche anno a questa parte perché prima le altre in commercio non riuscivo a digerirle, invece questa è veramente buona, gustosa e non mi dà problemi di digestione. Paola Platinetti In questa avventura, io e mio marito da soli, o anche con il sono aiuto del Gianluca, non saremmo mai riusciti ad ottenere un presidio, magari a venderla sì, ma avere un presidio secondo me no, era praticamente impossibile; sono stati fondamentali l’aiuto della Pro Loco, dell’Organizzazione… comunque c’erano alcuni che si intendevano di agricoltura con i quali abbiamo parlato, si è fatto un lavoro assieme... Paola Platinetti e hanno iniziato a piantarla un pochettino. Il primo anno gli ho dato io alcune piantine di prova appunto per vedere se gli cresceva anche a loro, se poteva sembrare una cosa fattibile, hanno visto che comunque nella maggior parte dei casi sono riusciti a farla quasi meglio di me, non proprio meglio, ma molto bene, ed è a quel punto che si sono interessati, il loro aiuto è stato fondamentale, senza di loro sicuramente non avremmo ottenuto il presidio. Paola Platinetti Pur essendo riuscita a recuperare la semente ed essendo riuscita a piantarla, non ci sarebbe stata nessuna possibilità se lo avessi fatto da privata. Paola Platinetti Io la cipolla la uso cruda;ne ho fatto una marmellata molto buona, una marmellata agrodolce da servire con i formaggi, mi è uscita veramente bene e magari ci proverò ancora quest’anno se riesco ad avanzare qualche cipolla; poi c’è la frittata, ci sono parecchi usi, ma la cosa migliore penso che sia la fritura (soffritto, ndr). Qui la fanno sciogliere assieme al maiale, è la cosa migliore, perché si scioglie perfettamente, non rimangono i grumi di cipolla in bocca per cui la mangiano tutti, anche i bambini. Paola Platinetti Mi piace andare in campo per la raccolta, è molto bello, le cipolle si vedono tutte fuori dalla terra, non so se avete visto delle foto, queste cipolle… vengono completamente fuori, te vedi già cosa raccogli, non è la sorpresa del bulbo sotto. L’anno scorso sono state raccolte praticamente tutte, ognuna di cinque o sei etti, veramente pesanti, era bello, non ti veniva voglia di fermarti per una pausa, non sentivi il mal di schiena perché dicevi «cavolo tutte belle»; una tirava l’altra, per riuscire a vedere, magari a trovare la più grossa, il mio scopo era quello di trovare la più grossa. Paola Platinetti Io, la cipolla, quando la raccolgo, devo farla asciugare bene. Le radici devono essere perfettamente asciutte. Le giro così se c’è qualcosa di umido va ancora fuori. Le metto sotto al portico all’ombra in un luogo molto arieggiato. Dopo quando la bruija è secca, secca, secca, in genere, faccio le reste, quindi prendo la corda e le intreccio, come mi ha insegnato mia zia, anche lei faceva così; le mettiamo in alto, nel portico, dove c’è molta aria per tenerle ad asciugare e soprattutto deve essere asciutta questa bruija, perché se ha ancora dentro acqua porta marciume. Devono essere secche, secche, secche quasi che si staccano per essere sicuri che è una cipolla sana che si conservi bene nel tempo.
- Date
- 2015
- Type
- MovingImage
- Title
- Una cipolla che fa comunità. La cipolla di Fontaneto e Cureggio
- Author
- Porporato, Davide, Ghiardo, Luca, Abisso Matinella, Lidia
- Text
- La cipolla di Fontaneto D’Agogna e Cureggio presidio Slow-Food Carlo Masseroni Mi chiamo Carlo Masseroni. Devo dire che all’inizio ero titubante, un po’ scettico, anche per via della mia formazione professionale, amo di più fare le cose in maniera immediata e semplice, piuttosto che ricoprire dei ruoli di responsabilità nei confronti degli altri. Carlo Masseroni E invece adesso sono due anni, quasi tre, in tutto questo percorso ho ritrovato anche una sorta di soddisfazione, perché c’è la possibilità di aperture, che possiamo definire di carattere sociale, culturale, che derivano dal fatto che quando si deve fare una cosa se la si fa con altre persone, l’orizzonte si allarga. Carlo Masseroni Poi, devo riferire anche una cosa che ho constatato anche con gli altri con i quali abbiamo organizzato il presidio: una scoperta di una dimensione dello spazio che si allarga in maniera enorme. Carlo Masseroni Noi siamo un piccolo paese di provincia con tutti i limiti, ma forse anche con tutte quelle ricchezze che sono legate al vivere in un piccolo paese. Limiti perché ovviamente è tutto qua… non ci sono particolari stimoli culturali anche se poi siamo vicini a Novara e Milano… Carlo Masseroni però l’orizzonte della nostra vita è spesso molto pratico e quotidiano. Però con tutti quegli aspetti positivi del vivere in un paese, perché in un momento in cui diventiamo sempre più ‘tecnologici’, diventiamo tutti più soli. La tecnologia, sotto certi aspetti, ci fa comunicare con l’altro capo del mondo, ma allo stesso tempo ci fa vivere in una profonda solitudine; la vita del paese, al contrario, è ricca dal punto di vista delle relazioni, si sa tutto di tutti e ci sono mille occasioni per festeggiare, condividere, ritrovarci, organizzare cose insieme. Carlo Masseroni E quindi la possibilità che questa esperienza ci ha dato è di allargare queste nostre prospettive, perché Slow Food per noi ha significato entrare in un mondo molto più ampio del piccolo paese. Carlo Masseroni Mi viene da ridere ricordando un piccolo episodio. Diventati presidio da poco, qualche settimana, siamo contattati da Ki Chun Li che è un coreano che insisteva con messaggi ripetuti perché voleva che andassimo a Seul per presentare il nostro prodotto, e noi dicevamo: «Caspita, ne facciamo poche, non ci conoscono ancora al di là di Fontaneto e Cureggio e questo ci manda l’invito di andare…» Carlo Masseroni Perché là si stava organizzando una sorta di Salone del gusto, un Terra madre riservato all’Asia. E questa persona insisteva, ci pagava anche il viaggio, siamo stati noi a dire di no: non eravamo in questa condizione. Si è poi accontentato di alcune fotografie del prodotto e altre piccole cose. Carlo Masseroni Questo un piccolo esempio per dire di come ci siamo ritrovati in una realtà più grande della nostra. Questa è una dimensione che allarga il respiro, che consente di andare più in là dei quattro tetti del paese. Carlo Masseroni Il presidio è organizzato secondo quello che ci dice e prevede Slow Food: abbiamo un disciplinare che non abbiamo ancora ultimato e che stiamo ultimando con l’aiuto dell’agronomo, dove indichiamo semplicemente quali sono le caratteristiche del nostro prodotto da un punto di vista organolettico, dal punto di vista della produzione, della terra. Inseriamo tutti i dettagli degli interventi che facciamo in questa produzione, interventi condivisi da tutta l’associazione, perché il bello di questa nostra esperienza è proprio questo, l’aver riscoperto questa dimensione positiva dell’essere in tanti e stare insieme e ovviamente anche di discutere e di organizzare le cose insieme. Carlo Masseroni Tra le altre cose, guardavo sui presidi Slow Food, e ho visto che in Italia i presidi delle cipolle sono cinque; ce n’è uno in Sicilia, uno in Puglia, uno in Toscana e uno in Friuli. Per bilanciare da un punto di vista geografico la situazione mancava il Piemonte. Due al Nord, uno al Centro e due al Sud. Carlo Masseroni Però… guardavo… i produttori non sono tanti. Perché, mi sembra, che la cipolla della Puglia sono due aziende… Cinque forse sono quelle della Val Cosa. Il presidio più grande arrivava a dieci produttori secondo il registro ufficiale… Quindi, credevo fossimo un pochino fuori rotta al livello di aziende impegnate, se l’anno prossimo metteremo ventidue, ventitré o venticinque produttori. Carlo Masseroni Però, anche questo ritengo, tutto sommato, non sia una caratteristica negativa; come diceva il presidente: la nostra filosofia è quella di dire, meglio in tanti che facciano un prodotto di quantità discreta, non eccessiva, anche per far sì che questa cipolla mantenga una sua collocazione di nicchia. Noi non vogliamo inflazionare il mercato, in modo tale che tutti mangino la cipolla di Cureggio e Fontaneto, vogliamo che sia una cipolla particolare, con le sue caratteristiche, quindi un prodotto che si possa trovare facilmente, ma che non arrivi ad inflazionare la situazione. Carlo Masseroni Quindi, per tornare al Presidio, avevamo stabilito un paio di paletti, che sono: che questa cipolla sia coltivata in questi due comuni, in questo particolare territorio e che, chi la coltiva, sia residente qua … su questo potremmo anche ritornarci, ma ci è sembrato comunque importante far sì che il prodotto fosse, almeno inizialmente, portato avanti da persone all’interno di questo territorio. Carlo Masseroni Dal punto di vista del territorio Fontaneto e Cureggio hanno una caratteristica un po’ particolare: sono paesi ‘a due facce’. Nel senso che c’è una parte in pianura, percorsa dai due torrenti, l’Agogna e il Sizzone e c’è una parte sulla costa alta che è morena di un ghiacciaio antichissimo che scendeva dal Monte Rosa e che si prolunga fino a Pro. Tutti quelli che passano dai paesi vicini vedono questa lingua che scende dalle Prealpi. Carlo Masseroni Sono due tipi di terreni diversi. Quello della costa è un terreno argilloso, molto duro, molto asfittico, di fatti sopra ci sono solo le Brughiere le Baragge, dei suoli che non necessitano irrigazione, con bassa fertilità; mentre, invece, il terreno sotto, nella zona pianeggiante che arriva fino alla Bassa Novarese, è un terreno alluvionale, molto permeabile, molto ricco e quindi, molto più fertile. Però abbiamo notato che la cipolla cresce sia sopra che sotto, ovviamente sotto dà dei risultati sostanzialmente più soddisfacenti. Carlo Masseroni Io che ho provato a coltivarla sopra a Croce, una frazione di Fontaneto, nella parte di territorio Morenico, con tutti gli sforzi, ho prodotto delle piante di 2-3 etti, mentre chi le ha coltivate sopra alla Baraggia ne ha prodotte di 7-8 etti. Ma questo è proprio legato alla doppia valenza del terreno. È impensabile che alla Croce possa fare una cipolla di 8 etti, anche perché il terreno argilloso è un terreno più duro, non ha bisogno di essere irrigato, ma per le sue caratteristiche non consente uno sviluppo così abbondante come in basso. Carlo Masseroni È ormai da un anno che siamo Presidio Slow Food. Quest’anno ci sono praticamente dieci piccoli produttori inseriti nel registro ufficiale e abbiamo dodici produttori che abbiamo definito ‘sperimentali’, nel senso che li abbiamo ‘messi in prova’ per un anno per consentire loro di verificare le loro capacità dal punto di vista produttivo, le loro motivazioni e il loro grado anche di coinvolgimento e d’interesse. Dopo di che, se tutto è OK, li inseriamo molto volentieri nel più ampio registro dei produttori ufficiali. Quest’anno daremo loro delle piantine con le quali inizieranno a cimentarsi. Carlo Masseroni La produzione funziona in modo semplice. Alcuni produttori, che hanno dato la loro disponibilità di spazi e attrezzature, fanno la produzione delle piantine. Il seme viene messo a dimora a dicembre, rigorosamente in luna calante, quindi, più o meno la seconda metà di dicembre. Dopo di che piano piano germoglia, diventa una piccola piantina con un ‘bulbettino’ verso marzo aprile. Quando è pronto lo si dà in mazzetti ai produttori, nelle quantità che abbiamo stabilito per l’assegnazione. Poi, in piena autonomia aziendale, si coltivano le loro cipolle. Carlo Masseroni Quindi, sia la conservazione dei semi che la riproduzione delle piantina viene fatta sotto stretta sorveglianza da parte della Pro Loco, per garantire che tutte le piantine abbiano un collegamento con quello che riteniamo essere l’ecotipo della cipolla, che è una cipolla un po’ piatta, con caratteristiche organolettiche particolari. Carlo Masseroni Gli agronomi di Slow Food hanno riscontrato un livello di acquosità più elevata rispetto ad altre, una ricchezza di gusto e di profumo particolare, sembrano non rinvenire come per altre cipolle che sono insistenti nel retrogusto e si presta ad un ottimo abbinamento con i piatti di carne: il suo sapore si esalta con piatti che sono piatti legati alla tradizione contadina della nostra cucina. Per esempio, il Tapilòn, la Rustija… il Tapilòn, forse più tipico di Borgomanero è una carne macinata che si fa soffriggere con la cipolla o la Rustija, sono pezzi di maiale che vengono cucinati con la cipolla… la cipolla è centrale in questi piatti locali. Carlo Masseroni Ad aprile viene distribuita a mazzetti ai singoli produttori. La piantina poi viene messa a dimora in terreni che ogni produttore si preoccupa di preparare. Siamo noi a specificare le modalità con le quali dovrà essere preparato il terreno. Sono possibili anche degli interventi di concimazione, ma sempre tenendo conto del disciplinare della coltura integrata disposto dalla Regione Piemonte. Carlo Masseroni Questa cipolla cresce, non ha bisogno, soprattutto nella parte alta, di particolare irrigazione; verso luglio, in un ciclo di circa venti, ventidue giorni arriva a maturazione. C’è un lungo periodo di preparazione, però il periodo di crescita è abbastanza rapida. La crescita deve coincidere con temperature molto alte, sopra i 22/24 gradi e, giustamente, coincide con il mese di luglio e agosto che sono i mesi più caldi. Carlo Masseroni Ad agosto, generalmente, se non ci sono sovvertimenti da un punto di vista meteorologico, viene raccolta esclusivamente a mano, non in maniera meccanica, mentre, per la dimora, abbiamo previsto, ad esempio, per chi ha un’estensione (del terreno) un po’ più ampia, la possibilità di una trapiantatrice semplicissima trainata da un trattore, con due operatori, però solo su estensioni abbastanza impegnative. Carlo Masseroni La raccolta è esclusivamente a mano, viene lasciata almeno un giorno o due la cipolla che asciughi bene al sole, perché la nostra cipolla ha una sua delicatezza, una sua acquosità per cui se non è ben asciutta si deteriora, ha problemi di conservazione, di marciume. Bisogna esser molto attenti nel raccoglierla, quindi fare tutte le operazioni con la dovuta delicatezza. Carlo Masseroni Poi viene messa sotto tettoie, su ripiani, anche all’esterno, in un posto che sia arieggiato. Se ne consiglia il consumo fresco perché è una cipolla che non ha lunga conservazione, anche se con le dovute maniere, tenuta in un posto fresco e arieggiato, può benissimo arrivare ai novanta, cento giorni. Ad esempio, la cipolla che viene raccolta a luglio/agosto può arrivare benissimo a Natale. È meglio se si consuma prima, per via del progressivo deteriorarsi delle caratteristiche organolettiche , anche se tecnicamente si presenta ancora commerciabile. Carlo Masseroni Stefano, il nostro produttore più grande, è quello che ha fatto, per così dire, la linea rossa di continuità tra le ‘donnette’ che nelle piccole cascine hanno continuato per decenni a coltivare queste cipolle a un livello amatoriale. È Stefano che si è preoccupato di rintracciarle, di ampliare la produzione e consentire anche a noi alla Pro Loco di avere quel sufficiente quantitativo di sementi… perché il problema è proprio il reperire le sementi per produrre una quantità che non sia altissima, ma i 30, i 50 magari anche gli 80 quintali di cipolle. Carlo Masseroni E quindi lui ha insistito sulla luna calante, per stare alle indicazioni che sono anche nel Frate indovino, che di solito i giardinieri consigliano di piantare e trapiantare la cipolla durante la luna calante. Il periodo in cui questa cipolla matura deve essere un periodo molto caldo e in quei venti, ventidue giorni si auspica che non ci siano temporali o piogge insistenti che potrebbero compromettere il raccolto. Per cui quando si percepisce che la cipolla sia prossima ad essere raccolta, si guardano anche le previsioni del tempo, in modo da anticipare l’eventuale acquazzone, perché non è la stessa cosa raccogliere la cipolla dopo, potrebbe compromettere la qualità e la sua conservazione. Carlo Masseroni La cipolla ha bisogno di un terreno asciutto, leggero e di caldo che dia quel giusto mix di maturazione che poi è anche una delle condizioni per conservarla. Questo rappresenta il problema più grosso per noi: senza questo equilibrio climatico e di condizioni, la cipolla marcisce. Noi non abbiamo la possibilità di usare dei prodotti per la conservazione, ma è meglio così se si vuol fare un prodotto più sano. Carlo Masseroni Dalle ‘donnette’, dagli anziani che hanno mantenuto questa tradizione della cipolla, al Presidio, che è composto anche da piccoli produttori, spesso giovani… è sicuramente un aspetto positivo e, secondo me, anche il risultato ‘benefico’ di questo periodo di crisi. Carlo Masseroni La generazione scorsa generazione dalla terra; i ritmi, i valori erano quelli legati alla cultura contadina. Poi ovviamente la nostra generazione ha saltato questo legame, per via di nuove condizioni economiche produttive diverse, per cui tutti siamo andati chi a fare una cosa, chi un'altra e il legame con la terra si è inevitabilmente spezzato. Carlo Masseroni Ora, secondo me, l’aspetto positivo è questo, il riscoprire, anche nei giovani, la possibilità di un legame concreto con la terra, perché, intanto, da questa cosa può nascere un lavoro, un’attività. Carlo Masseroni Ora, noi non garantiamo che l’attività di coltivazione della cipolla possa diventare un lavoro a tempio pieno e garantire una sopravvivenza economica, però, in generale, il riscoprire, in maniera diversa da quella dei nostri genitori, da quello che erano i mestieri tradizionali del lavorare la terra – oggi c’è la necessità di reinventare – però il recuperare il legame con la terra è un grosso valore e può essere sicuramente una possibilità in più di lavoro. Carlo Masseroni Poi, per noi, ha un enorme valore il ritrovarsi con tutte le età presenti, dagli anziani ai giovani. Non è solo la possibilità di fare un lavoro agronomico, il Presidio per noi è socialità perché si fa un lavoro agricolo, ma ci si accorge che può diventare qualcosa di più: dà la possibilità di riscoprire quelli che erano i valori legati al mondo contadino dei nostri genitori e dei nostri nonni che in questo particolare momento abbiamo un po’ abbandonato. Carlo Masseroni Quando io assaggio un pezzo di cipolla, se poi è la cipolla bionda di Curreggio e Fontaneto, è sicuramente un momento di gioia, di soddisfazione. È vero che personalmente sono più goloso di verdure che di carne, e di cipolla in modo particolare, cucinata in tutti i modi, ma è un momento di soddisfazione, di gioia, anche perché dietro all’atto di mangiare questa cosa c’è proprio questa dimensione più ampia del sapere, che hai fatto una cosa in una associazione, insieme: ecco perché il paese, rispetto alla città, ha dei valori diversi, perché permette di riscoprire il gusto di stare insieme, magari anche di confrontarsi e di litigare, però di essere associati, di riscoprire questo lavorare insieme. Carlo Masseroni Anche per questa cosa che ci diciamo tra di noi: «Siamo un piccolo paese, però siamo anche orgogliosi di fare qualcosa per il territorio e di poterlo far conoscere ed apprezzare agli altri. Secondo me, in un momento in cui i giovani sono condizionati da questo senso di individualismo, di solitudine, questa sensazione di fare insieme delle cose è un grosso valore, che dà soddisfazione non solo quando mangi la cipolla, ma perché dietro alla cipolla c’è un percorso, c’è un pezzo di vita, ci son tante cose. Sembra una frase un po’ forte, però quando si mangia la cipolla si mangia un po’ di comunità, di vita insieme, di strada fatta. Carlo Masseroni La cipolla con tutte le sue tuniche è il simbolo dello stare insieme, proteggendosi, difendendosi dagli altri, fare gruppo ritrovando il gusto di fare le cose... A volte, a casa, ci si impigrisce, o perché c’è la partita o perché siamo al computer eccetera; invece, grazie alle nostre attività riscopriamo la voglia di uscire, perché c’è la riunione, un incontro. È questo stare insieme che ci fa sentire in un unico contesto, in un unico legame, proprio come le tuniche della cipolla. Carlo Masseroni Siccome a casa spesso capita, per ragioni familiari, a me di cucinare la nostra… poi la nostra fa piangere in modo particolare... Secondo gli agronomi di Slow Food, ha questa ricchezza di acquosità, non di umido perché forse non è la parola giusta, però è ricca di questi elementi, che aiutano anche di più a piangere.
- Date
- 2014
- Type
- MovingImage
- Title
- Rane, la carne della risaia (Parte 2). Dal tempo quotidiano al tempo festivo
- Author
- Porporato, Davide, Ghiardo, Luca
- Text
- Rane, la carne della risaia (parte 2). Dal tempo quotidiano al tempo festivo. Mauro Caneparo Quando si portavano a casa le rane Mauro Caneparo La rana può essere cucinata (rane fritte, in pastella, al pomodoro, ripiene, in carpione, brodo di rane Mauro Caneparo La rana era la carne dei poveri Mauro Caneparo Il ghiaccio Mauro Caneparo Le donne anziane pescavano le rane, non i mariti! Mauro Caneparo Riso con le rane Mauro Caneparo Estinzione delle rane causata da diserbanti e aratura autunnale dei campi Mauro Caneparo Da carne dei poveri a cibo della festa Mauro Caneparo Le rane si friggevano con lo strutto di maiale Mauro Caneparo Per me le rane sono un salto indietro nel tempo Mauro Caneparo In inverno le rane scelglievano le risaie con la terra giusta Mauro Caneparo Le rane sono curiose Mauro Caneparo Nutrienti della rana
- Date
- 2015
- Type
- MovingImage
- Title
- Videointervista a Giovanna Pero Verzetti (1° parte)
- Author
- Raiteri, Piero
- Text
- Giovanna Pero Verzetti Videointervista (Piero Raiteri) a GIOVANNA PERO VERZETTI (1937), casalinga, Alessandria, 20.5.2015 (PRIMA PARTE) Giovanna Pero Verzetti Una volta c’era poco o niente da mangiare. Ricordo, quand’ero bambina, che mia mamma diceva: la carne la lasciamo a loro (i maschi della famiglia) che lavorano, così noi a cà a favu dla crivéla! (ridendo). E giù insalate di verze con un’acciuga! Giovanna Pero Verzetti Si panificava in casa una volta la settimana e si portava a cuocere nel forno del paese (Cinu) dietro la chiesa. Forme di pane, curgnó. Un altro forno sulla strada verso Oviglio Giovanna Pero Verzetti Tanta polenta: con pollo o coniglio, una volta la settimana; con gorgonzola, con la pavrunà (peperonata), con il merluzzo. Veniva l’anciuè (acciugaio) con il cavallo Giovanna Pero Verzetti In paese c’erano tante vigne, oggi scomparse, tanti pergolati (tòpie) nei cortili. Si vinificava uso famiglia, con uve tipo barbera o americana. Molte case avevano la cantina Giovanna Pero Verzetti Osterie sì: la Magnan-na era nei pressi della chiesa, mentre ora il figlio ha il bar sulla strada principale. Poi la vineria-tabaccheria di Emanuelli. Tanti i bevitori, come suo zio Niculon (poesia r64). Bevevano e giocavano alla morra. Si faceva anche il vinello (la mës-cia) Giovanna Pero Verzetti Cibi delle feste: la turta ant u dian, torta salata, con molte uova, formaggio grana, cotta nel tegame di coccio (u dian) Giovanna Pero Verzetti Si faceva la pasta in casa, con la sfoglia (tagliatelle), ma anche tanta polenta! Giovanna Pero Verzetti Dolci delle feste: al pasti biònchi, tipo meringhe, con bianco d’uovo e nocciole tritate. E per Natale si faceva il crumbòt , ossia un bambolotto di pasta dolce Giovanna Pero Verzetti Cibi della stagione invernale: i ceci per i Morti, la mostarda fatta con il mosto e frutta-zucca tagliata a pezzi e cotta molto a lungo. Si mangiava con la polenta Giovanna Pero Verzetti Ogni famiglia allevava un maiale per uso alimentare, a macellarlo veniva poi il masaghen, uno di fuori
- Date
- 2015
- Type
- MovingImage
- Title
- Videointervista a Giovanna Pero Verzetti (2° parte)
- Author
- Raiteri, Piero
- Text
- Giovanna Pero Verzetti Videointervista (Piero Raiteri) a GIOVANNA PERO VERZETTI (1937), casalinga, Alessandria, 20.5.2015 (SECONDA PARTE) Giovanna Pero Verzetti Ogni famiglia allevava un maiale per uso alimentare, a macellarlo veniva poi il masaghen, uno di fuori Giovanna Pero Verzetti Tutti coltivavano l’orto per avere verdure ad uso domestico. Tanti cavoli: ina muntagna’d vèrz!. con la neve si frollavano bene, e allora, insalate con acciuga e cavoli tritati, ma anche sancrau con i salamini Giovanna Pero Verzetti Con i pomodori dell’orto d’estate si faceva la salsa in casa, cuocendola a lungo nella caudera. Erbe dei campi sì, specie i denti di cane. Quelli che avevano le vacche nella stalla facevano anche il burro Giovanna Pero Verzetti Tanti pescavano in Tanaro, con la barca o burcé. Le carpe messe in carpione Giovanna Pero Verzetti C’erano anche i cacciatori, che poi andavano a vendere in città le lepri abbattute Giovanna Pero Verzetti Non mancavano i cercatori di tartufi (trifule) e di funghi, come le spugnole (springori) Giovanna Pero Verzetti C’erano anche i cantori, che cantavano stornelli ma anche arie d’opera, come suo zio Niculon. Qualche donna cantava gli strambotti (stramòt) ma lei non li ricorda Giovanna Pero Verzetti Tra i mangioni del paese si distingueva Mariu der Plicon, alto e magro, insaziabile! Giovanna Pero Verzetti Intervista sui blasoni popolari: i Taschet di Casalbagliano e i Ciflon dra Vila Giovanna Pero Verzetti La pietra di Santa Varena nella facciata della chiesa, considerata terapeutica contro il mal di schiena Giovanna Pero Verzetti Pane di Natale: sì, ma non ricorda
- Date
- 2015
- Type
- MovingImage
- Title
- Una pasta madre centenaria per un pane quotidiano (Parte 2). Produrre pane di qualità nel segno della tradizione
- Author
- Porporato, Davide, Ghiardo, Luca, Porporato, Marta
- Text
- Una pasta madre centenaria per un pane quotidiano (parte 2). Produrre pane di qualità nel segno della tradizione Davide Garzino Il negozio, il panificio, il pastino, la casa sono a Calcinere, una piccola frazione di Paesana, in provincia di Cuneo, abitata da circa settanta persone. È una minuscola frazione che come inizia è già finita. Si trova seguendo la valle in salita più o meno a metà tra Paesana e Crissolo Davide Garzino Il negozio svolge una vera e propria funzione sociale. Nel paese il parroco viene a dire la messa il mercoledì e la domenica. Poi c’è il bar-ristorante qui di fronte aperto tutti i giorni, tranne il martedì e il mercoledì Davide Garzino Ovviamente questo panificio è importante per gli anziani del luogo. Si svagano al mattino, escono a fare due passi, passano a chiacchierare, comprare la pagnotta e rientrano a casa Davide Garzino Negli ultimi vent’anni, per assecondare gusti e tendenze, è aumentata molto la varietà di pane. Adesso c’è la richiesta di pani speciali, con farine integrali Davide Garzino Fino alla fine degli anni Novanta, il 90% della produzione era di micconi fatti di farina di tipo 00, e di tipo integrale se ne faceva solo uno di segale. Io ho iniziato un po’ per volta assecondando soprattutto le richieste del mercato, usando farine integrali e di cereali diversi Davide Garzino Ogni giorno della settimana cambio il tipo di pane che produco: al martedì è fatto di un mix di cereali e olive, il mercoledì di segale, il giovedì di orzo e farro integrale più semi di zucca e girasole, il venerdì è un barbarià con noci, il sabato d’autunno è un pane con farina di castagna e la domenica è un grano duro con farine che acquisto direttamente da un piccolo mulino a pietra della Sicilia Davide Garzino Faccio molta attenzione alle farine che acquisto, da dove arrivano i cereali e se sono coltivati in un certo modo. Questo perché noto che c’è una certa riscoperta da parte dei giovani che, magari dopo l’esperienza di studi diversi, si mettono a coltivare la terra Davide Garzino All’imbocco delle vallate cuneesi, che ben conosco, i giovani riprendono a seminare varietà di cereali che erano quasi estinte Davide Garzino Il pane barbarià era il pane più diffuso negli anni dell’immediato dopoguerra Davide Garzino Se parli con le persone del luogo e di una certa età, non vogliono più sentir parlare del pane nero o del pane barbarià, perché ancora hanno il ricordo di quando mangiavano quel pane che era fatto con grani di pessima qualità Davide Garzino Quello era un pane barbarià ottenuto con farine mischiate Davide Garzino Barbarià è un termine dialettale piemontese che significa miscuglio. Erano in prevalenza segale, grano saraceno, e grano tenero (in quantità minore) Davide Garzino Adesso i giovani sono attratti da questo prodotto, anche perché ormai il gusto del barbarià si è molto raffinato rispetto a quello di cinquant’anni fa. Adesso è assolutamente più gustoso e appetitoso proprio perché le farine sono migliori Davide Garzino Le micche e i micconi di un certo formato (800 grammi, un chilo), si facevano già a quei tempi col lievito madre e questo è il lato positivo che è rimasto Davide Garzino Ci sono due modi per fare il pane, quello diretto otteniamo un pane con meno profumi, meno aromi. Impasti direttamente, la farina, l'acqua e il sale con il lievito (lievito di birra, lieviti chimici ecc.) Sono pani che “spompano bene”, alveolano, vengono bene dal punto di vista tecnico Davide Garzino Dal punto di vista del gusto, il pane fatto sul diretto non ha grande gusto, aromi e profumi. Per ovviare a questo, al giorno d’oggi, si usano i cosiddetti miglioratori della farina che sono sostanze chimiche messe all’interno della farina, a base di acido ascorbico Davide Garzino Panificare col metodo indiretto è la modalità che si usava già secoli e secoli fa in Europa e nel bacino del Mediterraneo Davide Garzino Tre tipi di pre-impasto: poolish, pasta madre e biga Davide Garzino La biga e la poolish erano più diffusi nell’Europa Continentale. Si fa il pre-impasto il giorno prima (12-15 ore prima) col lievito di birra Davide Garzino La biga è molto dura, si mette una certa quantità di farina e meno di acqua e si lascia riposare 10-15 ore. Nel poolish si mettono acqua e farina in egual peso, più lievito di birra. Anche questo si fa riposare 10-15 ore e il giorno dopo lo si usa in aggiunta all’impasto Davide Garzino Nel bacino del Mediterraneo era invece diffuso Il lievito a pasta madre era molto diffuso Davide Garzino pasta con all’interno dei microrganismi, dei saccaromiceti che servono da lievito per l’impasto del giorno dopo. Anche questo è fatto 12-15 ore prima, però, il lievito va rinfrescato tutti i giorni per essere mantenuto in vita Davide Garzino La mia è una pasta madre che si rinnova da minimo 130 anni (che sappia io), perché non l’abbiamo mai lasciata morire Davide Garzino Io la rinfresco tutti i giorni, come ho imparato da mio padre che, la preparava la sera. La metteva sul tavolo, a riposare e, prima di andare a dormire, alzava il canovaccio e controllava che stesse lievitando bene. Insomma, la trattava come qualcosa di vivo Davide Garzino Se vado in vacanza, per dieci giorni al massimo, adotto dei modi per conservarla. Si impasta la pasta madre solo con farina, senza acqua, poi la si surgela, sbriciolandola e facendola quasi diventare una polvere, la si mette in un sacchetto e poi nel freezer; così si conserva tranquillamente anche per 10/15 giorni. Davide Garzino Per una sola settimana, aggiungo del sale all’impasto della madre e la lascio conservare “sott’acqua”, in frigorifero Davide Garzino la mia sia una pasta madre è vecchissima come matrice, ma rinfrescandola tutti i giorni, da più di cent’anni, non si è conservato nulla del suo nucleo originario, ma, mi piace pensare che all’interno del pane che faccio ci sia sempre un pezzetto di quello che faceva mio padre e, prima ancora, mio nonno Davide Garzino Nella mia famiglia patirono la fame le generazioni precedenti a quella dei miei genitori. I miei nonni mi raccontavano spesso che era usanza mettere la pagnotta in una borsa appesa ad un gancio e, prima di andare a dormire, i piccoletti della famiglia ci passavano davanti per sentirne l’odore, il profumo, e poi una volta addormentati, sognavano di mangiarlo Davide Garzino Per me il pane è più di un alimento, rappresenta un vero e proprio modo di vivere e di essere che adesso non c’è più Davide Garzino Oggi, il pane si butta anche via. Ci sono certi pani che il giorno successivo sono immangiabili e quindi uno è costretto a buttarli, quando la sera avanzano Davide Garzino Io, però, non riesco a buttare il pane Davide Garzino Qui da noi il pane viene riutilizzato, cosa che in città non è possibile: ne dai un pezzo al cane, alle galline o ai conigli. So di qualcuno che quando decide di non mangiare più quel pane, fa ancora il segno della croce, ma non viene gettato, viene sempre riutilizzato e mai sprecato Davide Garzino Io non ho una produzione vasta perché uso farine di alta qualità e con un certo costo, quindi, preferisco produrre la quantità che so di vendere. Conosco la richiesta settimanale di pane e, se ne avanza, lo metto nei sacchi e lo regalo a chi ha animali Davide Garzino Conosco la richiesta settimanale di pane e se ne avanza lo metto nei sacchi e lo regalo a chi ha animali Davide Garzino In occasione di alcuni funerali si faceva una forma particolare, la duna Davide Garzino Per volontà del defunto, al termine della funzione in chiesa, la famiglia distribuiva del pane ai presenti all’uscita dalla chiesa. Poi si accompagnava il morto al campo santo. Io ho preparato il pane per una duna l’ultima volta nel 2000 Davide Garzino Il patrono di Calcinere, che dà il nome alla parrocchia è Sant’Antonio abate che si festeggia il 17 gennaio. Al termine della messa grande, i partecipanti ritirano una pagnottina a forma di croce greca, chiamata caritun Davide Garzino È un pane che per tradizione viene benedetto dal prete all’uscita della chiesa e serve per proteggere gli animali di casa, per preservarli dalle malattie Davide Garzino All’interno dei laboratori artigiani c’è sempre un angolo che io chiamo “delle icone” dove sono posti dei santini, degli oggetti particolari Davide Garzino Qua c'è. Anche io ne ho uno nel mio panificio: ho dei santini, dei pupazzi, San Giovanni Bosco e la Madonna. Questi ultimi li aveva già mio padre e io li ho voluti mantenere Davide Garzino Inizio il processo di preparazione del pane dal pomeriggio Davide Garzino L’impasto si prepara prendendo il nucleo, la matrice del lievito madre e aggiungendo acqua e farina e impastando. Da questo ne verrà tolta una parte che sarà destinata alla composizione del nucleo del giorno successivo Davide Garzino Passeranno 12-15 ore, fino al mattino successivo, quando intorno alle 5:30, partirò col primo lavoro della giornata: l’accensione del forno Davide Garzino Metto farina, acqua e sale Davide Garzino Per fare l’impasto dei micconi grandi uso la salamoia (acqua salata che metto in un secchiello la sera). Davide Garzino Poi inizio il mio impasto con farine speciali, ad esempio quella di castagna: 20% di farina di castagna, 40% di grano integrale e 40% di segale integrale Davide Garzino Quando si è formato l’impasto aggiungo il lievito madre che ho preparato la sera prima e controllo finché l’impasto diventa omogeneo Davide Garzino Inizio la procedura di puntatura, spezzatura e formatura sul tavolo da lavoro. Davide Garzino Primo passaggio è puntare la pasta per un quarto d’ora, poi si taglia, pesandola e cercando di essere precisi per una questione di uniformità nella cottura Davide Garzino Di nuovo la si lascia riposare un quarto d’ora. Si dà poi una serie di pieghe ai tagli di pasta e di nuovo lascio riposare. È necessario il riposo perché, se non ci fosse, la pasta risulterebbe troppo tirata e difficile da lavorare Davide Garzino A questo punto posso dare alla pasta la forma finale, sferica o semisferica. Pongo le singole pagnotte nelle casse, separate l’una dall’altra da teli Davide Garzino Le giro al contrario per favorire la crescita della pagnottae. Lascio riposare per tre o quattro ore a seconda della temperatura del laboratorio Davide Garzino Quando mi sembrano lievitate al punto giusto, inforno i pani, girandoli al contrario per favorire la crescita Davide Garzino Prima di infornarli, spolvero i pani alle castagne con farina bianca e li incido. Davide Garzino Dopo aver tolto la cenere, per pulire il forno e abbassare la temperatura del suolo si usa il fruciandolo Davide Garzino Il fruciandolo è un vecchio strumento in disuso che serve per la pulizia del forno a legna Davide Garzino È un lungo bastone con in punta un fascio d’erba particolare che si trova nelle zone lacustri chiamato Mazzasorda Davide Garzino Si lascia in ammollo sempre costantemente e viene tirato fuori solo quando si fa la pulizia del forno per togliere la brace rimasta Davide Garzino Poi si fa la rifinitura con una spazzola con le setole di ottone Davide Garzino Per costruire il frusciandolo c’è un trattamento a monte della Mazzasorda Davide Garzino Si taglia a giugno quand’è finita la fioritura e la si lascia seccare all’ombra per 15/20 giorni dopo i quali la si prende a fascio e si mette un bastone alla sua metà formando una grande ramazza intorno a questo bastone. Davide Garzino Il fruciandolo è resistente e deve essere lasciato sempre in ammollo. Dura circa una ventina di pulizie e poi lo si deve rifare perché si usura Davide Garzino Quindi bisogna procurarsi la Mazzasorda in modo da averne di scorta per tutto l’anno Davide Garzino La legna che si usa nel forno è molto importante, la si impara a conoscere a poco a poco, usandola. Davide Garzino Il faggio e il frassino sono tipi di legna ad alto potere calorico, alzano velocemente la temperatura del forno e bruciano velocemente; dunque ne basta una quantità minore rispetto ad altri legni come ad esempio la betulla, il maggiociondolo, il viburno o il castagno selvatico, che hanno meno potere calorico. Davide Garzino L’ottimo è mischiarli: faggio con betulla, frassino con maggiociondolo. Qui da noi non è molto comune l’uso di legno di nocciolo, ma, probabilmente questo rappresenta l’ottimo dal punto di vista dei profumi che si trasmettono al pane in fase di cottura. Davide Garzino La sera introduco nel forno la legna, che userò il giorno dopo, e la lascio lì per tutta la notte. Il forno non è mai freddo e cosi al mattino accendo il fuoco con molta facilità, con un semplice pezzo di carta Davide Garzino Il forno fa da camera di combustione e da platea sulla quale vado ad infornare il pane Davide Garzino Il mio forno ha l’età della casa: è in vita dal 1903 Davide Garzino Nel ’52 è stata ristrutturata e piastrellata la facciata. Ogni 10/15 anni circa, per ovvi motivi legati all’usura, viene sostituito il suolo con mattoni refrattari, ma la struttura rimane sempre quella originaria Davide Garzino Accendere il fuoco al mattino sa sempre un po' di rito che amo particolarmente: mi piace vedere la fiamma che scaturisce dalla legna, mi piace il fuoco, il calore del legno che brucia
- Date
- 2014
- Type
- MovingImage
- Title
- Una pasta madre centenaria per un pane quotidiano (Parte 1). Laurea, Master e tanta passione per un pane speciale
- Author
- Porporato, Davide, Ghiardo, Luca, Porporato, Marta
- Text
- Una pasta madre centenaria per un pane quotidiano (parte 1). Laurea, Master e tanta passione per un pane speciale Davide Garzino Mi chiamo Davide Garzino, sono nato nel 1969, ho 45 anni. Sono laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino. Ho preferito essere un panettiere proprio in questo laboratorio, come i miei genitori e mio nonno. Nella casa qui dietro si panificava già da prima dell’Unità d’Italia (dal 1842) Davide Garzino Nonostante i miei studi: le superiori a Mondovì, il politecnico a Torino e un master post-laurea in Business Administration, alla fine non sono mia riuscito a staccarmi dalle mie radici e da questo lavoro Davide Garzino Non ho mai provato a fare l’ingegnere nonostante abbia sostenuto molti colloqui e abbia avuto la possibilità di lavorare in alcune aziende. Amo sia il mio lavoro che il posto dove vivo e sono contento della mia scelta Davide Garzino Sono cresciuto in questa casa, qui ho appreso l’arte della panificazione e della pasticceria. Già da bambino, durante le vacanze estive, giocavo con questo mestiere Davide Garzino Dalle superiori in avanti ho preso il lavoro più seriamente. Nel periodo dell’università, finita la sessione degli esami, mi cimentavo già abbastanza Davide Garzino Ho imparato a fare il pane come si impara a camminare, senza accorgermene. Ho sempre visto mio padre farlo e, per imprinting, ho imparato anch’io Davide Garzino Mio papà è mancato nel 2000 e a quel punto ho iniziato veramente a mandare avanti l’attività. In questo panificio si è sempre usato il lievito naturale Davide Garzino Per ambizione personale, e perché ritengo che l’insegnamento abbia una grande importanza, ho seguito dei corsi sulla panificazione, sul lievito e sulla pasticceria Davide Garzino Fondamentale è stata l’impronta che mi ha lasciato mio padre, una persona che ci credeva davvero, che ci metteva amore e passione Davide Garzino Ho imparato in automatico, senza accorgermene. Vedevo la sua affezione nei gesti, mi piaceva, mi sembrava una vita ricca di soddisfazione e senso. Vedevo mio padre, la sera faceva il lievito, poi lo metteva su quel tavolo a riposare e poi prima di andare a dormire faceva ancora un giro. Alzava la tela, il canovaccio, e controllava che stesse lievitando bene. Insomma lo trattava quasi come qualcosa di vivo. Così, poco per volta, è entrata dentro di me l'affezione per questo lavoro Davide Garzino Ci sono momenti in cui il lavoro è più frenetico; s’inizia il mattino presto e si finisce la sera tardi, talvolta si è stanchi e stressati. Ma questo è parte integrante di tutte le attività. Tendenzialmente è un lavoro che segue un po’ il corso delle stagioni Davide Garzino Mi ricordo che da bambino, quando tornavo a casa da scuola, verso la mezza, vedevo mio padre e il suo aiutante che lavoravano. Magari fuori nevicava e qui dentro c’era il pane appena sfornato e il tepore del forno con i grissini che cuocevano dentro in tutta tranquillità. Questi sono momenti piacevoli, ancora oggi vivi in me Davide Garzino Certe volte il lavoro era duro. Sinceramente un po’ mi spaventava la fatica. Però ho capito che quando una cosa la si fa volentieri, la fatica diventa relativa. Normalmente gli orari non mi pesano, non me ne accorgo. Non inizio prestissimo, mediamente intorno alle 5:30, nel primo pomeriggio finisco e mi resta del tempo libero Davide Garzino Quando, come nel mio caso, il lavoro è parte di te, vivi lavorando e lavori vivendo Davide Garzino Un ingegnere, nell’immaginario collettivo, potrebbe avere una collocazione, una considerazione maggiore rispetto ad un panettiere; questo è un problema che non mi pongo Davide Garzino Mi ricordo una scena divertente di quando sono andato alla presentazione del Master di business administration. Eravamo una ventina di persone, tutte laureate, molti stavamo già lavorando. Ognuno di noi doveva presentarsi e tutti lo facevano come direttori o responsabili di aziende o cose del genere Davide Garzino Quandoarriva il mio turno, ho detto: «io faccio il panettiere». Tutti mi hanno guardato increduli e stupiti, allora ho aggiunto: «si, ma col forno a legna!» Davide Garzino Di sicuro gli studi servono sempre perché ti lasciano qualcosa dentro. che è sempre un baglio che va ad aggiungersi..., non è che lo studio ti toglie qualcosa. In questo mestiere non applico le equazioni quantistiche o il calcolo delle equazioni differenziali, però è sempre un qualcosa che si va ad aggiungersi al proprio bagaglio culturale, anche dal punto di vista organizzativo, che influenza positivamente il modo di pensare. Tutti i giovani prima di intreprendere la propria strada dovrebbero studiare Davide Garzino Per fare il pane non esiste solo l’algoritmo dal punto di vista tecnico: ci sono diversi e molteplici modi! Io, però, credo che l’ingrediente principale non siano né la farina, né l’acqua, né il sale, ma che sia lo stato d’umore del panettiere che lo fa: se è di buon umore, farà sempre un buon prodotto Davide Garzino Lo stato d’animo dell’artigiano, del panettiere, che mette le mani in pasta è fondamentale per la riuscita finale del prodotto. È chiaro che se il lavoro è fatto volentieri, se si è ben disposti nel farlo, il pane verrà bene Davide Garzino Quando si sforma il pane, soprattutto quello di un certo formato, ti rendi conto se è venuto in maniera perfetta, quando senti che scricchiola, in gergo, diciamo “il pane canta” Davide Garzino Mangio pane abitualmente, sia nei pasti che fuori pasto. Non sempre riesco ad assaggiare le mie prove perché, appena sfornato, il gusto è falsato e spesso Raffaella, mia sorella e commessa del panificio, lo vende tutto Davide Garzino Lo assaggio sempre quando uso delle farine caratteristiche, come quella di castagne, o farine di grani duri che provengono dalla Sicilia, che hanno dei gusti molto caratterizzanti (che vanno mischiati con altri tipi di farine). Questo per rendermi conto se l’impasto è ben dosato, se è equilibrato Davide Garzino I supermercati vendono un pane che per il 90% arriva da zone diverse dell’Europa, in particolare dalla Romania. Questo discorso è seguito, non solo dal pane, ma anche dagli altri alimenti. Purtroppo, al giorno d’oggi, cercando di solo profitto economico, si pass sopra a tutto, a discapito della salute e del benessere delle persone Davide Garzino Gli alimenti sono prodotti nel peggiore dei modi, l’importante è il guadagno, i soldi. Purtroppo non tutti hanno una cultura legata all’alimentazione o su come debba essere fatto il pane Davide Garzino Nei supermercati acquistiamo ogni giorno cose di cui non conosciamo l’origine, non badiamo a quanto vada in tasca ai produttori né all’assenza del valore aggiunto, niente amore, nessuna passione Davide Garzino Quando realizzo i miei prodotti li faccio con il pensiero di fare qualcosa di buono, qualcosa che “faccia bene” a chi lo consumerà; per questa ragione scelgo con cura le materie prime Davide Garzino Nel corso dei secoli il pane ha sempre rappresentato il cibo per eccellenza Davide Garzino “Buono come il pane” sta a significare che va bene, è una persona affidabile, che non ti tradirà in nessuna occasione Davide Garzino È una metafora che sta a dire come la miglior compagnia che si può avere, quando ad esempio si va a camminare in montagna, è un pezzo di pane nello zaino, che toglie sempre la fame più grande Davide Garzino Non mi è mai successo di trovarmi a dialogare col pane o con la pasta che sto preparando. Però più volte mi sono trovato a dialogare col forno Davide Garzino Quando si mettono a bruciare tipi particolari di legna nel forno (ad esempio varietà di faggio o certi tipi di castagno selvatico), questi scoppiettano Davide Garzino Quando arrivo nel panificio, in quelle mattine invernali un po’ buie, nevose, fredde, accendo il fuoco e questa fiamma scoppiettante sembra parlarmi. Allora, faccio qualche ragionamento ad alta voce, col forno Davide Garzino Quando vedo il “pastino animato”, con la pasta sul tavolo, il pane sull’erca, il forno acceso, sono contento, mi fa stare bene. Non ho mai pensato di sfamare una valle, ma dal punto di vista più intimo mi sento bene Davide Garzino Certe volte, mi pare quasi di sentire le presenze di mio padre e mia madre che si aggirano benevolmente Davide Garzino Certe volte nel pomeriggio, che non ho da lavorare, mi siedo nel pastino a leggere o a riposare, e mi sento bene
- Date
- 2014
- Type
- MovingImage
- Title
- Videointervista a Giuseppe Verzetti - Gipòt (1° parte)
- Author
- Raiteri, Piero
- Text
- Giuseppe Verzetti Videointervista (Piero Raiteri) a GIUSEPPE VERZETTI Gipòt (1925), contadino, Villa del Foro, 22.5.015. (PRIMA PARTE) Giuseppe Verzetti Alimentazione tradizionale fra le due guerre: non c’era l’abbondanza, ma non si faceva neanche la fame. Ogni famiglia aveva l’orto e allevava qualche gallina e qualche coniglio Giuseppe Verzetti Una sua parente faceva i capponi e li andava a vendere in città, comperando merluzzo e acciughe. Dolci delle feste: ra pula per Pasqua e er crumbòt per Natale Giuseppe Verzetti In paese erano attivi due forni: uno sulla strada per Oviglio, l’altro in via Maestra, dirimpetto al fiume. Si panificava in casa una volta alla settimana e si portava a cuocere al forno. Forme di pane più usate: cagnulen, vianeiza, navet con 4 curgnùa Giuseppe Verzetti La mostarda fatta col mosto di vino, con dentro pezzi di zucca e di frutta (fichi verdi, pere) Giuseppe Verzetti D’inverno si consumava l’areng cotto sulla brace, con contorno di insalata di cipolla cotta; il sarac, grossa acciuga affumicata; i pavron mujà nei graspi, conservati in grosse pentole di coccio, a strati Giuseppe Verzetti Molto usata anche la bagna cauda, sia in famiglia che fra amici Giuseppe Verzetti Al ribòti, cene invernali in compagnia, a base di lepre, maiale ecc. Giuseppe Verzetti Vigne in paese: due o tre per famiglia. Zone vitate: Cirano, Bogliole, San Damiano, Groppello: terre un po’ rosse adatte a produrre barbera, lambrusca, senren-na. Uve da pasto: moscato d’Amburgo, alienga. Vino Mericanen, rosatello Giuseppe Verzetti Si vinificava ad uso famiglia: dopo il primo vino, il secondo smuovendo i graspi e aggiungendo acqua e zucchero; poi terzo vino: mes-cia senza gradi, da bere subito (buona con le castagne cotte)
- Date
- 2015
- Type
- MovingImage